Dialogo tra fondisti erranti. E rimasti in secca come nel 1974, quando la Marcialonga si corse sul “serpentone” di neve rubata

Gennaio 2015, Engadina. La neve, quella vera che scende dal cielo, qui latita da parecchio, da troppo tempo. Davanti al Langlaufzentrum di Silvaplana, al posto della pista di fondo, ampia e soleggiata, si stende una tundra di neve e ciuffi d’erba, una superficie biancastra che il vento si diverte e rimescolare formando placche inconsistenti. Un anno fa in Engadina c’era come sempre da sbizzarrirsi su quei 400 chilometri perfettamente battuti per pattinatori e/o sciatori tradizionali (che utilizzano i binari, ma sono una netta minoranza). Ora due fondisti, con quella faccia un po’ così che hanno quando vengono appiedati, ripensano a quel fantastico labirinto che si dipana per laghi e foreste penetrando in vallette laterali inondate di sole. Carlo e Luciano, entrambi milanesi, fondisti incalliti e attempati, patiti dell’Engadina, sperano ardentemente che prima di marzo riappaia la bianca visitatrice e che sia abbondante. Altrimenti niente Skimarathon a cui si sono già iscritti. Ecco di che cosa confabulano quei due vagando a piedi sulle sponde del lago di Silvaplana.
– Bella fregatura, l’anticiclone non sembra andarsene. E a farne le spese siamo noi sciatori di fondo mentre lassù sulle piste del Corvatsch i discesisti se la spassano con la neve artificiale.
– A quanto pare siamo in tanti rimasti in secca: mal comune con quel che segue. Sempre che non siano in arrivo impulsi freddi di natura polare marittima.
– Ma certo, mai disperare. Intanto godiamoci quest’aria frizzante tra foreste e laghi che non vogliono saperne di gelare. Questa è salute.
– Chi si accontenta…

– Direi che ci si può godere anche questa insolita solitudine che a noi, popolo di fondisti in piena espansione, non è più consentita.
– Per fortuna nel clima ci sono corsi e ricorsi. Nel 1929 il Po era una pista di ghiaccio su cui pattinare. Idem per la Laguna di Venezia. E tu ricorderai bene che cosa è capitato nel gennaio del 1974. Anche quell’anno la neve latitava sulle Alpi. Mi ero iscritto alla quarta edizione della Marcialonga ma le valli di Fiemme e Fassa erano spelacchiate e non si capiva proprio come avrebbero fatto a farci passare in mezzo la gara.
– E com’è andata invece?
– Visto che il cielo non si decideva a elargire ciò che tutti si aspettavano, per innevare la parte di pista completamente “nuda” tra Moena e Predazzo vennero portati con i camion 8 mila metri cubi di neve. Sembra che quelli della Val di Fiemme fossero andati a rubarla nottetempo al Rolle e al San Pellegrino facendo incazzare i valligiani di Falcade e di San Martino di Castrozza.
– Ricordo anch’io di avere sentito parlare di quel mitico “serpentone” di neve marcia che si snodava tra i prati su cui i bisonti annaspavano. Tu che sai tutto della Marcialonga, ti ricordi chi vinse quell’anno?
– Se non sbaglio, a Cavalese arrivò per primo il norvegese Lundemo Magnar che sorprese tutti con una volata di tipo ciclistico. In gara, pensa un po’, c’era anche l’Achille Compagnoni, quello del K2.
– Per noi bisonti di città erano esperienze favolose, e ce n’erano di cose da raccontare quando si tornava in ufficio…
– Altrochè.
– Un concorrente giunto verso sera, appena tagliato il traguardo si svitò la gamba di legno e la brandì con aria di sfida.
– Che tipo!

– Mai si erano visti tanti italiani passare dallo sport parlato a quello praticato. Ma la cosa straordinaria erano le donne.
– Che cosa avevano di speciale?
– Per regolamento non potevano partecipare. Alcune però venivano pizzicate quasi subito. A una certa Paola sono caduti i baffi posticci. Un’altra venne smascherata al traguardo da un addetto il quale si beccò uno schiaffo. Non aveva usato quei riguardi che si addicono a una signora.
– Non che ci volesse molto a capire che erano femmine.
– E il pubblico le riconosceva e le applaudiva. Un pizzico di trasgressione era il sale di quelle marcelonghe da tardo medioevo.
– Il pepe, vuoi dire. Ma aspetta: mi è sembrato di vedere scendere qualche fiocco di neve…
Ser