Uomini e idee. Dante, Fra Dolcino e “Tavo” Burat
Nel settembre 1321 morì a Ravenna Dante Alighieri. Quest’anno ricorrono i 700 anni e saremo inondati di commemorazioni e celebrazioni, tutti avranno qualcosa da dire. Gioco d’anticipo. Cosa c’entra Dante con l’alto Piemonte, con le nostre terre? Il legame è con Fra Dolcino (fra sta per fratello, non per frate).
Dolcino da Novara (1250 [?] – 1307), la tradizione dice sia nato a Prato Sesia o in Val d’Ossola (dove rimane una leggendaria torre a Trontano). Fu un ribelle, animatore di un movimento pauperistico che si richiamava all’egualitarismo delle prime comunità cristiane.
La sua colpa più grande fu di non pagare le tasse al vescovo di Vercelli che gli scatenò contro un Crociata. Dopo una strenua resistenza prima alla Parete Calva in Valsesia e poi al Monte Rubello nel Biellese, fu arso sul rogo con la sua compagna, la bella Margherita.
Dante era di 15 anni più giovane di Dolcino e lo ricorda nel canto XVIII dell’Inferno (vv 55 – 60) quando nella nona bolgia incontra i “seminatori di discordie” e Maometto gli dice:
“Or dì a fra Dolcin dunque che s’armi,
tu che forse vedra’ il sole in breve,
s’ello non vuol qui tosto seguitarmi,
sì di vivanda, che stretta di neve
non rechi la vittoria al Noarese,
ch’altrimenti acquistar non saria leve”.
Il “profetico” Dante aveva capito che Dolcino sarebbe stato preso per fame. Così avvenne. Il primo a parlarmi di Fra Dolcino fu Gustavo Tavo Burat (1932 – 2009). Lui, biellese e valdese (non è la stessa cosa!), faceva il mio stesso lavoro, l’insegnante. Venne a trovarmi ad Ornavasso in una luminosa giornata di novembre del 1985, parlammo a lungo sul balcone, con i laghi lontani e i Corni di Nibbio imponenti. Parlammo di utopie libertarie e di minoranze linguistiche.

Mi raccontò che nel 1907 il socialista biellese Emanuele Sella fece costruire un monumento alto dodici metri in memoria di Dolcino e che nel 1927 i fascisti lo distrussero.
Lui lo ricostruì e all’inaugurazione vennero Dario Fo (che ne parlò nel Mistero Buffo) e Franca Rame. Erano gli anni in cui i Walser dovevano ancora essere “scoperti” e urgeva difendere le minoranze linguistiche.
Il Tavo era uno spirito puro e libero, difensore delle autonomie locali e delle culture minoritarie. Ci lasciammo. Io mi buttai a studiare i Walser, lui aveva già fondato nel 1974 a Biella il Centro di Studi Dolciniani (che c’è ancora), poi andò a Roma a fondare la Federazione dei Verdi (che non c’è più).
Lo incontrai anni dopo, a Biella, al convegno di fondazione di Mountain Wilderness. Ci abbracciammo.
Paolo Crosa Lenz
da “Lepontica”, gennaio 2021